Ricordo la sensazione che avevo il periodo in cui abitavo in Via dei Latini 76.
Era l'inizio di una nuova vita.
L'Accademia di Belle Arti, San Lorenzo, Rione Monti, le nuove abitudini, lo straniamento e l'autonomia. Entusiasmo e paura.
Il calore delle giornate di Roma, diverso da quelle di Terni sia d'estate che d'inverno, le camminate lunghe per tornare a casa, i muri degli appartamenti pieni di foto, i manifesti, le biciclette sui balconi e l'amore.
Il giorno che presi la bicicletta per accompagnare degli amici alla stazione Termini era maggio, pedalai lungo la banchina dei binari.
Eravamo un gruppo di persone e scortavamo dei ragazzi dell'Erasmus che dovevano prendere il treno e cantavamo tutti con una spensieratezza a dir poco commovente. Tornando a casa mi sono sentita invincibile.
Quel periodo è stato uno dei più felici.
Ricordo l'odore di felce azzurra nel bagno, il furto dei gabbiani delle ultime salsicce sul davanzale che stavano scongelando e la casa di fronte sempre in movimento mi faceva pensare alla foto di Elliot Erwitt dove una coppia balla in cucina.
La signora Paola, il bar di Spartaco, l'enoteca, le tende bianche e rosse, la copisteria dove lasciavo i file da stampare per la revisione del giorno dopo.
Le notti a San Lorenzo, la pizza sotto casa mia, le fughe e i ritorni, l'amore non detto e ridetto, l'idea che tutto sarebbe stato così per sempre.
Il mio corpo è fatto di tante parti, di ferite e fioriture, una mappa geografica complessa e bellissima e questo lembo di terra è uno dei posti che preferisco, dove torno ogni volta che ne ho voglia.
Lo sorvolo, entro dentro, ne sento la nostalgia, piango, m'innamoro e quando il cuore è pieno spicco nuovamente il volo e vado via.
Chiudo il cassetto ed esco da casa.
E' ora di prendere nuovamente il treno.
Giulia
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