
Il workshop di Isidro Ferrer, organizzato da Officina B5 e Simone Rea, me lo ricorderò sempre.
Al momento dell’iscrizione era arrivata come risposta una mail.
Riporto parte del contenuto:
Portare:
_ Gli utensili da lavoro più comuni per ogni studente: matite, pennelli, forbici, pennarelli, acquerelli, ago e filo.
Domenica, si svolgerà la seconda parte: "Il libro di un altro."
Un libro.
Non deve essere un libro qualsiasi. Deve essere un libro ricercato e scelto, con qualche qualità singolare. Un libro che risvegli la nostra simpatia.
La sera prima di partire, pensando alla voce “utensili da lavoro più comuni per ogni studente”, ho preso la colla stick, le fustelle, le forbici, la carta velina bianca, arancione, grigia e nera, l’ago e vari fili, la china e qualche pennello.
Per quanto riguarda il libro ho messo nella sportina Lappas.
Venerdì pomeriggio, vedendo la presentazione dei lavori di Isidro mi sono commossa.
Capivo la sua ricerca sentendola vicina, affascinata dalla capacità di sintesi che si mescola all’ironia, al gioco e alla critica sociale.
Penso così al contributo di Leo Lionni scritto nel catalogo di Jean Michel Folon nel 1986 per la mostra al Museo Correr di Venezia quando dice: “...volantini da lasciar cadere nel labirinto delle gole di cemento perché indichino a coloro che pensano, un’uscita segreta verso gli spazi verdi e il cielo azzurro”.
“Un’uscita segreta”...
Al di là dello stile tra loro diverso, ho ritrovato lo stesso intento e forse, la capacità di tradurre percezioni e sensibilità, senza il piglio dello stupore, senza l’urgenza della magnificenza e dell’imposizione, si manifesta con la volontà di compenetrarsi con tutto ciò che ci circonda e fa sì che questi linguaggi arrivino, a chi pensa, come una folgorazione.
Linguaggi capaci di radicarsi fino a dentro, portatori di messaggi che restano, ai quali si può sempre tornare. Ricerche artistiche che diventano case.
Ero lì e non vedevo l’ora di iniziare a sperimentare trasformandomi in una spugna, pronta ad assorbire il più possibile, da lui e da tutte le altre persone che avrebbero partecipato.
Così è stato.
Ho imparato nuove tecniche, allenato nuovi punti di vista, ho giocato con strumenti per me inusuali e la domenica, quando abbiamo dialogato con le regole e i materiali di ogni altra persona per intervenire su tutti i libri portati, ho scoperto che il linguaggio si stava definendo, nonostante usassi i pennarelli, i timbri o gli acrilici.
Entusiasta dell’esperienza vissuta, arrivando domenica sera a Terni ho tenuto strette tutte le emozioni edificanti sentite in quei giorni e le ho portate con me anche la seconda volta che sono andata a Venezia con Valerio.
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